21.2.10

CAMILLO & TORRIBIO



A luglio fa una caldazza da bestie, d’estate è normale.
Camillo è un sadico climatico: ama passare le ore più calde facendo dentro e fuori i negozi con aria condizionata polare, ma non è tutto. Nutre forte attrazione per gli uffici postali, quelli grandi con tante file di sedie ordinate. Ci va poco prima dell’ora di maggiore affluenza. Prende una ventina di numerini per i vari sportelli e poi si annoia leggendo tutti i depliant informativi e i prezzi dei prodotti in vendita al PT shop.
Previo suggerimento dei calli, si siede nelle ultime file e osserva i biglietti numerati degli astanti. Se qualche bellafiga ne mostra per caso uno molto lontano dal turno sul display, le regala uno dei suoi per fare bella figura.
Beato dai sorridenti ringraziamenti, si sente meno solo e si dà un senso.

...

Torribio guardava il calice vuoto.
Era dopo ferragosto, quel limbo temporale che annuncia il rientro dell’autunno dalle delizie della villeggiatura.
Pensava spesso ad una frase pronunciata da Picasso: “Mia moglie non capisce che quando guardo fuori dalla finestra, sto lavorando”. Anche lui era un condannato del lavoro: scriveva, disegnava, scolpiva, suonava e componeva, insomma donava al mondo quel frutto che deriva dall’intelletto, che invade con forza ogni istante del vivere, compreso l’ozio.
In parole semplici, mal sopportava il peso del grande dono del ‘saper fare le cose’ poiché non v’era continuità né soddisfazione nel pensare in un paese che rifiutava a priori la creatività in cambio di globalizzazione sottocosto. Restava però un conforto personale da indossare la sera, un capo liso dall’uso forsennato. Il resto era prostituzione ottusa e alimentare, marchette a denti stretti al servizio di quattro gestori sfigati e invidiosi colleghi dall’individualismo sfrenato.
A lungo andare si sentì oltremodo mortificato, offeso dal solito opportunismo di chi, senza avere minimi requisiti, riusciva a fargli le scarpe grazie alle solite conoscenze. Attricette isteriche, musicisti alcolizzati, assessori con codazzo di puttane russe e padroni autodistrutti da smisurato ego. I soliti cadaveri senza vermi, morti che camminano e muovono quattrini ‘tutti insieme appassionatamente’.
Beh… caro mio, così va il piccolo mondo antico, la tua patria mal cresciuta e se non modellerai il tuo sapere su forme stupide ed antirivoluzionarie, non arriverai da nessuna parte. Quanto sei stronzo a crederci ancora, t’illudevi di riuscire a realizzarti? Di spostare montagne?
Ma chi ti credi di essere… accontentati della dolce grazia di una sana sofferenza e ringrazia, con la tua solita onestà appesti l’aria.

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